MICHELE E. PUGLIA
PARTE PRIMA
CON ENRICO VII
SI INSEDIANO
I TUDORS
SOMMARIO: LA PROCLAMAZIONE DI ENRICO VII E LA SANGUINOSA COMMEDIA DELLA RIVOLTA IRLANDESE DI RICHARD SYMMONS; IL DIRITTO DI MANTENIMENTO E LA CAMERA STELLATA; L’IMPOSTORE PERKIN WARTEK SUL TRONO; IL REGNO DI ENRICO VIII: AVVERTENZA; ENRICO VIII E IL SUO PRIMO MATRIMONIO CON CATERINA D’ARAGONA; LA STRAVAGANTE AMBIZIONE DI THOMAS WOLSEY E LA SUA TRAMA SUL MATRIMONIO DEL RE; LA CAUSA DI DIVORZIO DI ENRICO VIII E LA CADUTA DI WOLSEY; SCOMPIGLIO DI ENRICO VIII CREATO DA ANNA BOLENA; EMERGE THOMAS CROMWELL FINITO SUL ROGO MENTRE LA CONDANNA PER ANNA BOLENA E’ MUTATA IN DECAPITAZIONE; NUOVO MATRIMONIO DI ENRICO CON JEAN SEYMUR RIFORMA DEL CULTO ED ESECUZIONE DEI PARENTI E AMICI DEL CARDINAL POLO; MENTRE ANNA DI CLEVES E’ RIPUDIATA-CATERINA HOWARD FINISCE SUL PATIBOLO; L’ULTIMO MATRIMONIO DI ENRICO CON CATERINA PARR E MORTE DEL RE; I PRIMI SUCCESSORI DI ENRICO VIII: EDOARDO VI E JEAN GREY; MARIA LA SANGUINARIA (8BLOODY-MARY); IL PASSAGGIO AL CATTOLICESIMO RINFORZA IL PROTESTANTESIMO.
LA PROCLAMAZIONE DI
ENRICO VII
E LA SANGUINOSA
COMMEDIA
DELLA RIVOLTA
IRLANDESE DI
RICHARD SYMMONS
D |
alla
conquista (normanna) in poi, scrive David Hume (Histoire d’Engleterre, Paris 1873), non
esiste nella storia d’Inghilterra un’epoca più incerta, meno autentica e più
contraddittoria di quella delle guerre fra le due rose (York e Lancaster)..
Su molte
circostanze materiali gli storicìci differiscono e
alcuni avvenimenti della massima conseguenza su cui quasi tutti convengono,
sono incredibili e smentiti dagli archivi. E’
osservabile che un tal buio cade precisameente alla
vigilia del Rinascimento delle lettere e mentre in Europa già si conosceva la
stampa. Attraverso la cupa nube che si stende su questo lasso di tempo, trapela
allo sguardo un’orrida scena di sangue, di costumi selvaggi, di esecuzioni
arbitrarie, di tradimenti disonorevoli da ambo i lati.
Il patibolo e
i campi rosseggiavano del sangue più nobile dell’Inghilterra, sparso a torrenti
nella lite delle due famiglie contendenìnti, la cui
animosità divenne implacabile. Il popolo, diviso nell’affezione, assunse simboli
differenti del suo parteggiare. La fazione dei Lancaster scelse per
contrassegno di distinzione la rosa rossa;
la York trasse la denominazione dalla rosa
bianca e queste guerre civili si
resero note in Europa sotto il nome della contesa
delle due rose.
La vittoria
riportata da Enrico VII a Bosworth (22 agosto 1485) e il matrimonio (1486)
con Elisabetta figlia di Edoardo IV, pretendente al trono come erede degli
York, posero fine a queste guerre intestine che da un secolo avevano
insanguinato l’Inghilterra.
Enrico VII (1485-1509) era figlio di
Edmond Tudor conte di Richmond e di Margherita di Beaufort, figlia e unica
erede del duca John di Somerset, nipote di John de Gand,
duca di Lancaster; ma colui da cui questa branca traeva la sua origine oltre
che adulterino, era bastardo.
Poiché il
duca di Lancaster aveva ottenuto la legittimazione dei suoi figli con una
patente di Riccardo II, confermata dal Parlamento, questa patente specificava
tutti i privilegi che erano accordati, da cui era escluso espressamente il
diritto di successione al trono (cit. D. Hume). Enrico sebbene avesse da prospettare
diversi titoli, come erede al trono, non poteva avanzarne nessuno, in quanto i
suoi titoli erano tutti contestabili e la acclamazione era stata la strada più
legittima per giungere al trono, consacrato dal matrimonio con Elisabetta di York.
Enrico fu
infatti prima acclamato dai soldati, come vincitore della battaglia in cui
l’usurpatore Riccardo III era stato ucciso; sir William Stanley, che aveva
trovato tra le sue spoglie una corona di serto cinta da Riccardo in battaglia,
la mise sulla testa di Enrico che la ricevette senza esitare.
Enrico, dopo
aver fatto portare Elisabetta, che doveva sposare, a Londra, con un corpo
superbo composto dall’alta nobiltà e da gentiluomini del regno, si recò a
Londra dove lo ricevettero il lord sindaco e le corporazioni, con una folla di
borghesi e contadini che lo acclamava al suo passaggio; giunse quindi nella chiesa di san Paolo dove
fu consacrato lo stendardo della battaglia e furono resi solenni ringraziamenti
per la vittoria riportata, dopodiché si recò al palazzo del vescovo dove gli
era stato preparato l’alloggito che lo ospitava.
Seguirono la
assegnazione delle cariche, il matrimonio e la incoronazione; da Roma giunse la
bolla del papa Innocenzo VIII, che confermava la nomina del nuovo re e
pronunciava l’anatema contro chiunque ne turbasse la pace sua e dei suoi eredi.
Enrico VII pensò
quindi a mettere ordine nel regno recandosi nel nord, dove alcuni partigiani
della rosa bianca avevano preso le
armi e li disperse infliggendo loro punizioni severe.
Le sue due
passioni dominanti erano la cupidigia e l’odio nei confronti della rosa bianca; ma il partito vinto cercò di
vendicarsi.
Il suo prinipale agente era un prete di nome Richard Symmons che aveva la raffinatezza del mercante di
Temple-Bar, alla quale univa l’audacia del contadino gallese.
Symmons per dare la possibilità a Enrico di acquistare
ulteriori meriti, aveva ideato una rivolta in Irlanda e per realizzarla, aveva prescelto
un certo Lambert Simmel, che sebbene fosse figlio di un macellaio di Oxford,
aveva la prestanza fisica che lo rendeva degno di un trono; costui doveva rappresnetare Riccardo, secondo figlio di Edoardo IV, che
avendo avuto la possibilità di sottrarsi alle crudeltà dello zio Riccardo III,
si presentava a reclamare il titolo di cui era stato spogliato e Simmel aveva
organizzato questa sua pericolosa commedia in Irlanda.
L’Irlanda, di
cui era stato governatore il duca di Clarence sembrava disposta ad accogliere
con favore il figlio del suo vecchio governatore di cui aveva un buon ricordo e
fu lì che si recò Lambert Simmel. Il governatore dell’isola o, come lo
chiamavano, il lord deputato, conte
di Kildare, suo fratello, cancelliereThomas
Fitz-Gerald e la maggior parte degli ufficiali, erano ardenti yorkisti che Enrico VII aveva lasciato in pace. Appena i
due impostori giunsero a Dublino, Kildare presentava Simmel alla nobiltà, ma la
maggior parte della popolazione e il clero rimanevano dalla parte di Enrico VII.
I rivoltosi
persistevano nella rivolta e a Dublino giunsero duemila mercenari tedeschi
mentre Simmel fu portato sulle spalle, seondo l’uso
irlandese, dalla chiesa al castello e fu posto su un trono di velluto,
rivestito dalle insegne reali e in testa gli fu messa una corona presa dalla
Vergine della cattedrale e salutato come Edoardo VI.
Il 4 Giugno 1487 il monarca improvvisato sbarcava sulle coste del
Lancashire alla testa di ottomila uomini conmandati dal conte di Lincoln e il 16 fu sconfitto e
ucciso nei pressi di Stoke tra Nottingham e Newark con la metà dei suoi, in
quanto la lotta fu accanita e tedeschi e irlandesi avevano combattuto con
rivalità e coraggio.
Il prete Symmons, tradotto davanti al sinodo, confessò la sua colpa
e fu condannato alla prigione perpetua; il falso Edoardo VI, re d’Inghilterra e
di Francia, più degno di pietà e di collera, riprese il nome del padre macellaio
e finì come marmittone nelle cucine di Enrico VII e in seguito, per la sua
buona condotta, ebbe l’incarico di falconiere (J.A.Fleury Histore d’Angleterre, Ecosse et Irlande, Paris 1879).
IL DIRITTO DI
MANTENIMENTO
E LA CAMERA
STELLATA
E |
nrico VII approfittava
della sua vittoria di Stoke, non per versare altro sangue, ma per costringere,
a proprio vantaggio, con sostanziose ammende, le più ricche famiglie yorkiste, portando così un colpo terribile ai privilegi
dell’aristocrazia con l’abolizione del diritto di mantenimento.
Il manteimento era una associazione di individui retta da un
capo. che indossavano una livrea e che giuravano di sostenere, anche con le
armi, questioni personali. Con il mantenimento,
il giurì era intimidito, l’autorità, impotente.
Un tribunale
speciale fu incaricato di punire tutti i prevenuti di coalizioni
illegali o di mantenimento, di sommossa e di intrattenimento di vagabondi,
tribunale che prese il nome dalla sala dove avvenivano le sedute, la cui volta
rappresentava il cielo stellato, detta “star
chamber” camera stellaa.
Questa corte
criminale, destinata inizialmente a reprimere gli abusi della feudalità, al
tempo di Enrico VII era fondata sul diritto
comune e sull’antica pratica e all’inizio del suo regno il Parlamento aveva
confermato la sua autorità; Enrico VIII ne aveva ampliato il potere e finì per
diventare essa stessa un abuso intollerabile del dispotismo monarchico ed
Enrico VIII, ne fece uno strumento di comoda tirannia che aveva fatto scorrere
lacrime e sangue; essa fu abolita da Carlo I.
La star-chamber si
componeva di un cancelliere, un tesoriere, un guardasigilli privato, del
presidente della corte del banco del re, del presidente della corte delle
udienze comuni alle quali si aggiungeva un vescovo e un lord temporaneo del
consiglio del re; vale a dire che su sette giudici, cinque erano dei servitori
del re, revocabili a sua volontà e investiti del diritto di chiedere due altri
membri su cui si potesse interamente contare (J.A.Fleury, Histoire
d’Angleterre, Paris 1879).
Enrico VII
non era stato crudele, era stato avaro; egli nelle guerre non aveva cercato la
gloria ma il mezzo di arricchirsi; egli chiedeva danaro al suo popolo per
combattere il nemico e lo chiedeva al nemico per non fargli guerra, in modo da
prenderne dalle ambedue parti.
Fu così che
quando Enrico VII aveva occupato Boulogne, con una fanteria di venticinquemila
uomini e milleseicento cavalieri, quando Carlo VIII aveva sposato Anna e si era
impadronito della Bretagna (v. Art. Carlo V ecc. Parte
II) aveva firmato il trattato di Etalpes (3 Nov, 1492), in cui
Carlo, come re di Francia riconosceva che la sua sposa era debitrice verso la
corona inglese della somma di seicentomila scudi d’oro ed egli si dichiarava
debitore per gli arretrati della pensione che suo padre, Luigi XI si era
impegnato a versare all’Inghilterra, di centoventicinquemila scudi d’oro, in
tutto settecentoquarantacinquemila scudi che si
impegnava a pagare in quindici anni a Calais, in ragione di cinquantamila scudi
per anno.
L’IMPOSTORE
PERKIN WARTEK
SUL TRONO
M |
entre Enrico
stava affrontando questi problemi che soddifacevano
la sua avidità, un vascello proveniente da Lisbona, gettava l’ancora nel porto
di Cork in Irlanda dal quale scendevaa un uomo dalla fisionomia rimarchevole; durante il
viaggio era stato pensieroso e taciturno e nessuno lo conosceva; il suo nome
era Perkin Warbeck.
Suo padre, Orbeck o Warbeck, ebreo
convertito, dopo aver kasciato Tournai, sua patria,
si era stabilito a Londra dove aveva reso qualche servizio al re Edoardo IV. di
cui aveva guadagnato l’affetto; il re, per riconoscenza, aveva tenuto a
battesimo il figlio che ricevette il nome di Peter, in fiammingo Peterkin o Perkin. Quando più tardi si era messa in
evidenza la rimarchevole somiglianza del figlioccio col padrino, qualcuno aveva
fatto correre la voce che re Edoardo, noto per la sua galanteria, fosse qualcosa di più del padre
spirituale che volesse fare apparire.
A partire
dall’età di sedici anni, Perkins aveva errato in diverse parti dell’Europa
occidentale e aveva vent’anni quando giunse in Irlanda, nella stessa isola in
cui cinque anni più tardi, Lambert Simmel si era fatto passaare
per il giovane conte di Warwick (v. sopra).
Egli si
faceva passare per Richard, duca di York, secondo figlio di Edoardo IV. Già qualche signore irlandese, aveva militato sotto il suo
stendardo quando Carlo VIII che non aveva ancoraa
firmato il tratatto di Etaples,
aveva avuto l’idea di trarre profitto da questa singolare apparizione.
L’avventuriero
era stato accolto come un principe alla corte di Francia, ospitato al palazzo
reale, circondato dalla guardia d’onore. Più di cento distinti inglesi, si
erano recati a Parigi per riconoscere il figlio di Eoardo
IV e non avevano fatto alcunaa difficoltà a prestar
giuramento. Ma pretso Carlo VIII firmava la pace con
Enrico VII e il preteso duca di York, saacrificato,
va a chiedere asilo alla duchessa dotaria di
Borgogna, sorella di Edoardo IV, che lo tratta pubblicamente come suo nipote e
gli dà il soprannome di Rosa bianca.
Enrico VII
mostra disprezzo per un tale competitore e ordina una inchiesta per dimostrare
l’assassinio del figlio di Edoardo; infine invia degli emissari nelle Fiandre e
pubblica di aver trovato nei loro rapporti la prova irrefutabile che il preteso
duca di York, non era che un ebreo di Tournai. Nel frattempo, la duchessaa di Borgogna, fornisce a Perkin i mezzzi per giugere in
Inghilterra.
Questo primo
tentativo sulle coste del Kent (1495) non era stato onorevole e il pretendente
si recava per la seconda volta in Irlanda e non trovando gli abitanti ben
disposti, si recò in Scozia dove Giacomo IV lo accolse a braccia aperte. Non
contento di riconoscerlo solennemente egli lo univa in matrimonio a Caterina
Gordon, alleata alla famigòia reale e una delle più
belle dame di corte. Ma fece ancora di più. Egli, in due riprese (1496 e 1497)
invase il nord dell’Inghilterra.
Enrico VII
vedendo che il pericolo si faceva serio, intavolò delle trattative in seguito alle
quali fece condurre in Irlanda il duca e la sua sposa. Nel 1498 Perkin
approfittò di una sollevazione degli abitanti della Cornovaglia per sbarcare a
White-Sand. Di là marciò su Exeter e si illuse vanamente di impadronirsene vedendo con terrore
la sua armata disperdersi nella piana di Tauton,
quarant’otto chilometri da Exeter, dove trovò rifugio presso l’abbazia Beaulieu
(Hampshire), che aveva ospitato Margherita d’Angiò prima della battaglia di Tewksbury.
Circondato
dalle truppe reali, finì per arrendersi e fu condotto a Londra e, attraversate
le strade di Londra, fu condotto alla Torre. In capo a un anno egli predispose
un piano di evasione con lo sfortunato conte di Warwick (1499, piano che
ambedue pagarono perdendo la testa,
La bella
scozzese di cui l’impostore aveva ricevuto la mano, fu assegnata come dama di
compagnia alla persona della regina facendone uno degli ornamenti della corte
(cit. Fleury),
Il re Enrico VII, dopo aver procacciato all’isola
la quiete esterna a costo della dignità nazionale, l’interno col dispotismo,
con l’estorsione e col deprimere l’aristocrazia decimata dalla guerra delle due
rose, lasciava il regno (1509) al figlio con un milionee ottocentomila
sterline e nessuna speranza di affari (C. Cantù, Il sec. XV).
IL REGNO DI
ENRICO VIII
AVVERTENZA
A |
vvertiamo il
lettore che nella parte riguardante lo scisma di Enrico VIII, ci siamo serviti
del testo di “Storia ecclesiastica della
rivoluzione d’Inghilterra”, del p.
Girolamo Pollini, fiorentino, domenicano
dell’Ordine dei Predicatori di Santa Maria Novella, del 1591, dedicato a
Guglielmo Alano di Lancaster (1531-1594) il quale scriveva contro i protestanti
e durante il regno di Elisabetta aveva dovuto allontanarsi dall’Inghilterra e
recarsi a Roma, dove Sisto V lo aveva costretto ad accettare il cardinalato,
che lui rifiuava ed era stato incaricato di
correggere la Bibbia pubblicata dallo
stesso papa indicata da Sandero tra le sue opere nel libro degli scrittori
fiamminghi.
Padre Pollini
aveva tradotto dallo spagnolo la “Storia
dello Scisma d’Inghilterra”, 3 voll. di Sanderus
(Sandero), che all’epoca aveva riscosso
grande successo, aggiungendo, per il suo libro,
opere di altri scrittori italiani, francesi e spagnoli (come egli dice,
spesso senza citarli); un’altra sua traduzione
“Histoire du
scisme en Engleterre”
era stata fatta in lingua francese da Maucroix (che
abbiamo anche noi consultato).
Padre Pollini,
di fede fondamentalmente cattolica, rimprovera ad Enrico, di aver ripudiato
Caterina con il pretesto che fosse stata moglie di suo fratello, ma, in verità,
egli sostiene, per
sposare Anna Bolena dalla quale era
stato preso da violenta passione.
Anna (aveva scritto Sandero, ripreso da p. Pollini) era figlia di una delle sue amanti e sorella
di un’altra (Maria), di cui molti
hanno creduto, con stringenti
congetture, che fosse la propria figlia. Fu dunque per sposare Anna, che Enrico
aveva ripudiato Caterina e si era separato dalla Chiesa Romana. Ma non aveva
lasciato il nostro partito, sostiene Pollini, per abbracciare quello di Calvino o Zwigli
o per qualche altra antica religione eretica. Egli aveva formato una nuova
religione di cui si era fatto capo sulla terra. Anna, per se
stessa, non sapeva governarsi con saggezza né prima. né dopo il matrimonio; suo
fratello fu accusato di aver intrattenuto con lei disonorevoli rapporti e per
di più lei professava la religione luterana. Infine fu
condannata dai giudici per adulterio e incesto ed ebbe la testa tagliata per ordine
di suo narito.
Così la
religione protestante, aveva scritto Sandero (ripreso da p. Pollini), è fondata
sulla ipocrisia di Enrico che per un rimorso di coscienza, aveva ripudiato
Caterina mentre essa è fondata su un duplice incesto in quanto non si può
negare che Enrico abbia commesso incesto sposando la figlia o la figlia di una
donna che intratteneva rapporti con lui; e che Anna potesse passare per
incestuosa per le libertà che si pemetteva con suo
fratello. E’ quindi, concludeva Sandero, su questi presupposti, che lo scisma si è
stabilito in Inghilterra sotto il regno di Enrico, Edoardo VI ed Elisabetta.
P. Pollini,
al quale sta a cuore la regina Caterina, riprendendo Sandero, scrive che
Enrico, ripudiandola, si separava dalla Chiesa Romana per correre dietro ad
Anna Bolena, sulla quale, sulle tracce di Sandero, avanza l’ipotesi che fosse anche sua figlia, scagliandosi
contro Edoardo VI ed Elisabetta, in maniera più violenta di Sandero e forzando
la realtà, ne dice peste e corna, “per
aver reso l’Inghilterra una spelonca di ladri, sentina di tutti i vizi, nido di
infiniti malfattori e malvagi. franchigia dei più scellerati nemici di Cristo.
Spero che questa storia - egli aggiunge
- spiegandovi avanti agli occhi una sanguinolenta scena bagnata del sangue di
infiniti martiri, piena di oltraggi fatti alla santa madre Chiesa, unica sposa
di Cristo, colma soverchie ingiurie fatte ai romani pontefici, di una
disdicevole sostituzione della religione cattolica, nella sporca ed empia setta
di Calvino e Zwigli che, non solamente con le lacrime
ma con le orazioni e con la forza e con le armi sarà domata quest'idra,
cacciati questi mostri infernali, spiantar queste rapaci arpìe
del mondo e purgar finalmente la meschina Chiesa d'Inghilterra dal mortifero
veleno dell'eresia”.
Non ci
dispiace citarli, anche per dimostrare quanto fosse divenuta estrema e sanguinosa
la lotta della Chiesa, con tutto il sangue che era stato fatto scorrere anche
altrove, p. es. in Francia e Germania (**), contro l’affermarsi delle nuove
idee introdotte da Lutero (ricordiamo che le nuove idee, volere o no, se non si
affermano per evoluzione, si affermano per rivoluzione!).
E li citiamo
anche perchè questi autori introducono argomenti non
trattati da altri, in ogni caso da verificare; come p. es. le date; infatti. relativamente
alla circostanza che Thomas Boleyn fosse
stato mandato come ambasciatore
in Francia da Enrico VIII, per poter avere la libertà di freqentare
la moglie, madre di Anna Bolena; Thomas aveva intenzione di disconoscerla
facendo ricorso a un processo (**) al quale era stato convinto a rinunciare;
abbiamo trovato però che non vi è corrispondenza nelle date, per cui su queste
circostanze, possono sorgere dei dubbi.
*) Lo
vediamo realizzarsi ancora oggi (2022-23) da parte del regime teocratico dell’Iran,
dove si torturano, stuprano,
si impiccano e hanno inventato l’avvelenamento delle ragazze a
scuola, per evitare che vi si rechino, nel nome di un Dio che perrmette tante brutalità; tutte giovanissime vite umane
che chiedono semplicemente la libetà dalla
oppressione religiosa; nell’indifferenza dell’ONU e del suo Segretario, che non
prendono provvedimenti!
A proposito
delle persecuzioni religiose messe in atto da Maria la Sanguinaria, come riferiamo nell’apposito paragrafo, David Hume
aveva scritto “L'uomo non si mostra mai tanto detestabile
e irragionevole quanto nelle
persecuzioni religiose, che lo pongono, in malignità, a livello degli spiriti
infernali e al disotto delle bestie in frenesia”.
**) La madre di Anna era Elizabeth
Howard (1480-1538), figlia di Thomas Howard duca di Norfolk, discendente di
Edoardo III, ed Elizabeth Tilney. Thomas, riferisce
Sandero e Pollini, la citò per ripudiarla come adultera, davanti
all'arcivescovo di Canterbury.
ENRICO VIII E IL SUO
PRIMO MATRIMONIO CON
CATERINA D’ARAGONA
E |
nrico VII alla fine dei movimenti che avevano
agitato l’Inghilterra e quando essi si calmarono e il trono non sembrò più
vacillante, pensò a trattare il matrimonio del suo primogenito Arthur di
quindici (o sedici) anni che non godeva di buona salute; era infatti nato di
otto mesi e i medici avevano detto che non sarebbe vissuto a lungo; ma a quel
tempo il matrimonio era un affare di Stato e non si pensava all’età o alle
condizioni di salute dei nubendi.
Il matrimonio comunque fu deciso con Ferdinando e
Isabella, per la figlia diciottenne Caterina d’Aragona, che portava il
prestigio della casa reale spagnola e una ricchissima dote di deuecntomila scudi. Il matrimonio ebbe luogo il 14 Novembre
1501 e tra i
due sposi non ebbe luogo nessun rapporto fisico con la sposa ed Arthur morì
dopo cinque mesi dal matrimonio, lasciando vergine Caterina.
Enrico VII sia per non restituire la dote, della
quale ne aveva riscosso la metà, sia per mantenere legati i due regni e calmare
ogni inquietudine con i reali di Spagna, si accordò con l’espediente del
matrimonio tra il dodicenne principe di Galles, Enrico e la vedova del
fratello.
Ma occorreva la dispensa del papa al quale fu
mandata la richiesta e il re Enrico VII che doveva ricevere l’altra metà della
dote, volle che essa fosse versata prima del secondo matrimonio. Ma trovò
l’opposizione di Ferdinando, anch’egli avaro, che sosteneva che essa dovesse rimanere dote nominale; comunque i due monarchi
rimandarono la questione al consenso del papa Giulio II.
Il problema non era semplice in quano questo genere di matrimonio era
vietato dalla Bibbia e la prima richiesta decisiva della Santa Sede. fu quella
di sapere se il matrimonio tra Arturo e Caterina fosse stato consumato; avuta
risposta che il matrimonio non era stato consumato, la dispensa giunse il 6 Dicembre 1503 e i due giovanetti furono solennemente
fidanzati.
Ma, il re Enrico VII, prima di morire,
probabilmente preso dal rimorso, aveva fatto firmare dal figlio Enrico un atto
col quale il giovanetto (che all’epoca aveva dodici anni) si impegnava a non
sposare Caterina (Reynal, Le Divorce de Henri VIII et Catherine,
Amsterdam 1763)), ma, quando Enrico aveva raggiunto i quattordici anni, in
presenza di testimoni, dichiarava che non avrebbe sposato nessun'altra, se non
Caterina.
Enrico VIII
(1491-1547) alla morte
del padre (1509), aveva diciotto anni;
era aitante, attivo,
studioso e particolarmente versato negli studi di religione (scolastica e
teologia) più che a un principe non convenisse. Scriverà infatti un libo (in
cui vi era la mano di Wolsey e Moro) contro Lutero col titolo “Assertio septem sacramentorum adversus Martin
Luther”: Difesa dei sette sacramenti conto Lutero, che gli farà ottenere
dal papa il titolo di
“defensor fidei”.
Lutero
rispose subito con un libro violento col quale negava che fosse stato scritto da
lui; poi gli scrisse una lettera scusandosi per l’acredine che aveva usato, che era
rivolta piuttosto nei confronti di coloro che avevano rimaneggiato lo scritto e
speculato sul suo nome.
Enrico cominciò
il regno con feste, tornei e caroselli, attingendo al danaro lasciato dal padre,
non solo, ma spingendo con l’esempio, i signori, a metter fuori le nascoste
ricchezze; componeva musica e puniva i concussori, modi certi per acquistare
popolarità ed era strabocchevolmente cupido dei piaceri.
Il primo atto del nuovo re fu di far esaminare e
confermare il legame che egli aveva fatto con la vedova del fratello, dal
Consiglio reale. Tutti i ministri convennero che gli interessi politici lo
richiedevano, ma
solo l'arcivesovo di Canterbury e qualche altro ministro avevano suggerito
che la religione lo vietasse, ma questa opinione fu abbandonata e il matrimonio fu celebrato
sfarzosamente lo stesso anno (1509).
La nuova regina non tardò ad apparire incinta, ma
i bambini che partoriva non vivevano che poche settimane (a causa della
malattia genetica di Enrico v. par. Anna Bolena); Maria fu l’unica a
sopravvivere e, come erede al trono, fu dichiarata principessa del Galles.
Caterina, piccola di
statura e non bella, era una donna virtuosa, di costumi semplici, dalla vita
ritirata; l’amore per l’ordine formava il suo carattere; le cure domestiche, le
preghiere e il lavoro erano le sue principali occupazioni. Non aveva talenti e ancor
meno pretese, nessuna inclinazione e interesse per gli affari del regno e
tantomeno aveva espressioni di femminlità; mancava
infatti della grazia femminile e del desiderio di piacere; per di più era presa
da tristezza e malinconia che aumentavano con l’età e probabilmente erano
queste a procurarle le false maternità.
Con queste premesse i due sposi reali vivevano in
armonia, nell’indifferenza di Enrico che si distraeva con le sue scappatelle con le giovanette che
pescava tra le danigelle della regina; una delle
ultime scappatelle era corsa con
Maria Bolena che Enrico aveva portato tornando dalla Francia (1520)
togliendola a Francesco I che le aveva lasciato un ricordo venereo, passato, a
sua volta, a Enrico.
Un bel giorno (1525), a corte, tra le
damigelle d'onore della regina era apparsa Anna Bolena, sorella di Maria, proveniente
dalla corte francese; questa giovanetta
magra, dal corpo sottile con gli occhi e capelli neri, con modi francesi e vestita
alla francese, portava lo scompiglio nel tranquillo rapporto tra i due reali
coniugi.
LA STRAVAGANTE
AMBIZIONE DI
THOMAS WOLSEY
E LA SUA TRAMA SUL
MATRIMONIO DEL RE
T |
homas Wolsey era
figlio di beccaio di Ipswich (come riferisce padre Pollini che riprende Sotero)
il quale volle dare una educazione al figlio e lo aveva avviato alla vita
ecclesiastica; ammesso alla università di Oxford egli ottenne un brillante
successo e fu incaricato di seguire l’educazione di giovani appartenenti a
famiglie distinte del regno.
Wolsey era
stato per poco al servizio di Enrico VII e alla sua morte era
entrato nelle buone grazie di
Enrico VIII e la sua carrierra era stata rapida e
brillante, iniziata come cappellano del re e subito dopo, per mezzo del vescovo
di Winchester, divenuto elemosiniere. Dopo che Enrico si era impadronito di
Tournai, nelle Fiandre (1515),
Wolsey fu
investito di quel vescovado e delle sue entrate; non molto dopo fu fatto
vescovo di Lincoln e Durham e poi di Vinton e
arcivescovo di York con le sostanziose entrate; dopo due anni ebbe la carica di
Cancelliere del regno e il papa lo nominava legato
a latere, vale a dire suo rappresentante nel regno d’Inghilterra.
Amante della
munificenza e dello sfarzo, indossava abiti di seta e oro e ne guarniva anche
le selle e le gualdrappe dei cavalli; usava far portare il cappello
cardinalizio da un personaggio d’alto grado e quando entrava nella cappella del
re, lo faceva deporre sull’altare. Si faceva precedere anche da un prete alto
di statura e avvenente, che portava una colonna d’argento con unaa croce e non soddisfatto di questo sfoggio al quale si
sentiva autorizzato come cardinale, avrva aggiunto un
altro prete, di pari bellezza e statura che portava la croce di York e il
popolo se ne prendeva gioco dicendo che un crocifisso non bastava ad espiare i suoi
peccati e le sue colpe.
Wolsey era
riuscito ad ottenere dal re di Francia e dall’imperatore Carlo V ricche abazie
ed era divenuto il padrone assoluto del regno; era stato detto: “che il suo gusto era preso non tanto dal
gusto per le cose, ma dal disgusto che lo prendeva la mancanza di ciò che
desiderava”.
Carlo V
avendo intuito la sua stravagante ambizione, gli scriveva lettere personali
firmandole “vostro figliuolo e parente
Carlo”, e, nell’intento di ottenere una confederazione con Enrico VIII , per muovere guerra contro Francesco I, gli aveva
promesso che alla morte di Leone X sarebbe diventato papa.
Ma, alla
morte di Leone X Carlo
V aveva appoggiato la nomina di Adriano VI (1522-1523) suo maestro e Wolsey,
ritenendo di dover dissimulare, sopportò con pazienza e attese la morte di
Adriano, per la quale non dovette attendere molto.
Quando però
alla morte di Adriano fu eletto Clemete VII (1523-1534),
Wolsey accorgendosi di non essere tenuto dall’imperatore in molta stima e le
poche lettere scritte da Carlo, non erano più scritte di proprio pugno, ma par
mano dei segretari, Wolsey passò interamente dalla parte di Francesco I.
Sapendo che
Enrico aveva in animo di separarsi da Caterina, (aveva sentito da un astrologo
che “una femmina stava per essere causa
della sua rovina” e aveva ritenuto che questa non potesse essere che
Caterina), fece chiamare John Longland, vescovo di
Lincoln, uomo semplice
e scrupoloso, più di pietà che di scienza, che faceva tutto ciò che lui gli
suggeriva; dopo avergli parlato del matrimonio del re, che era contrario alla
legge di Dio, lo nominò confessore di Enrico (1526) e convinse Longland, che gli stava a cuore la salvezza dell’anima del
re, con l’intento che gli riferisse tutti i suoi segreti, concludendo che il
suo matrimonio con Caterina non gli pareva ben fatto e pericoloso per la
coscienza di Enrico.
Longland convinto che ciò che gli aveva detto
Wolsey non sarebbe dispiaciuto al re, non ritenne di replicare o contraddirlo,
ma ritenne opportuno che fosse Il cardinale a riferire
al re del suo matrimonio con Caterina; ciò che Wolsey fece durante una conversazione
con il re, accennando al riferimento della Bibbia, del divieto posto al
fratello, di sposare la vedova del fratello.
Dopo che Wolsey aveva ventilato a Enrico questo divieto posto
dalla Bibbia, Enrico aveva cominciato a pensare a elaborare il pensiero del
ripudio di Caterina, non solo dedicandosi allo studio dell’argomento, ma pensando
di confeire l’incario a
teologi per approfondire il caso ed esaminare anche la dispensa a suo tempo
avuta dal papa Giulio II e chiesta quando doveva sposare Caterina.
Il vescovo Longland quindi
riferiva a Enrico, che come suo confessore, in coscienza, si sentiva in obbligo
di dirgli che tutto il mondo era scandalizzato del suo matrimonio con Caterina
e che egli si sentiva obbligato a suggerirgli di volerlo far esaminare da teologi
anche fuori del regno. Questo discorso aveva fatto una certa impressione sul
re, sul quale interveniva Wolsey, che gli suggeriva di rompere il matrimonio con Caterina.
Relativamente
alle sollecitazioni di Wolsey e del suo confessore, mentre Wolsey pensava al possibile
matrimonio con la sorella del re di Francia, Enrico pensava in cuor suo al fidanzamento (non
ancora al matrimonio!) con Anna Bolena e scrisse al sommo pontefice Clemente
VII il quale, avendo dei dubbi su una questione così importante, aveva convocato i teologi che si trovavano a
Roma.
Mentre
Enrico, dal suo canto, aveva mandato suoi confidenti, fra i quali Richard Crock, in Italia, per interpellare eruditi di Ferrara,
Bologna, Padova e Venezia dove primeggiava Francesco Giorgio (noto per la sua
opera “De Armonia Mundi”, Dell’armonia del mondo), offreendo
a costoro un ragguardevole premio.
I
pareri non furono uniformemente favorevoli ad Enrico in quanto, mentre (si era ritenuto)
che alcuni eruditi si erano mostrati favorevoli in quanto interessati al premio (ciò che non si poteva dire di
Giorgio che si era mostrato favorevole a Enrico, la cui onestà era nota), il giudizio del papa e della Santa sede era stato
negativo per il re.
Per di più era in ballo con i francesi non solo il matrimonio di Maria,
principessa del Galles, con il duca d’Orleans, o con lo stesso Francesco I, che
stava trattando Wolsey, interessato a stringere i rapporti con i francesi, che
gli avrebbero dato ricchi riconoscimenti.
Egli però non immagnava che le segrete
intenzioni di Enrico fossero quelle di divorziare da Caterina, per sposare Anna
Bolena, mentre mirava al matrimonio di Enrico con la sorella di Francesco I, duchessa
d’Alençon (rimasta vedova del duca d’Alençon),
che avrebbe rafforzato la sua personale posizione e nello stesso tempo avrebbe salvaguardato
la pace dei due regni. mentre Anna Bolena poteva esser tenuta come concubina
(cit. padre Pollini).
Questi
avvenimenti si stavano verificando quando le truppe di lanzichenecchi del duca
Carlo di Borbone saccheggiavano Roma (1527) e il duca era ucciso da una
schioppettata che Benvemuto Cellini si vantava di avergli sparato e
quando Francesco I era liberato dalla
prigionia di Carlo V, sostituito dalla consegna dei due suoi figli (v. in Art.
Diana di Poitiers ecc.).
LA
CAUSA
DI DIVORZIO
DI ENRICO VIII
E LA CADUTA IN DISGRAZIA
DI WOLESY
I |
l papa Clemeente VII aveva mandato il cardinale Campeggio in
Inghilterra con l’incarico che con il cardinale Wolsey fosse deciso il divorzio;
l’udienza fu fissata nel convento di san Domenico (28 Maggio 1529) nella quale il re non comparve ma interveniva solo Caterina che non ritenendo regolare la
procedura, si appellava al papa perché: Il
luogo non era idoneo per un giudizio; i giudici erano sospetti in quanto erano obbligati
e soggetti al re in quanto Wolsey era titolare di vescovati inglesi e Campeggio
di un vescovato donatogli dal re; essi
non accogliendo l’appello al papa, facevano cosa grata al re.
Presentatosi
successivamente il re di persona disse che egli era spinto a chiedere il
divorzio, non dall’odio verso la regina, ma da scrupolo di coscienza e che i
giudici erano uomini dottissimi, nominati dal sommo pontefice, supremo capo
della Chiesa, ai quali si potesse dare l’incarico di risolvere la lite, mentre
la regina sollecitava l’accoglimento del suo appello al papa.
Alla udienza
erano convenuti esponenti del parlamento e popolo e la regina sedeva dalla
parte sinistra, mentre il re era sulla destra, sotto un baldacchino; la regina mettendoglisi
davanti in ginocchio gli disse che mentre lui era re nel suo reame, lei era una
forestiera e lo pregava umilmente e amorosamente, di far proseguire la lite in
Roma, presso il papa, padre di tutti i cristiani e giudice accettatto
dallo stesso re. Il re, levatosi in
piedi disse che accettava di buona licenza ciò che chiedeva la regina.
Il papa, accogliendo
la richiesta di Caterina richiamava il cardinale Campeggio e disponeva che la
causa fosse trattata a
Roma assegndola a Paolo Capisaco, decano del Sacro Palazzo Apostolico. Fissata
l’udienza per la comparizione dei procuratori delle parti, la regina era
rappresentata da Tommaso Moro: la sentenza emessa (1528), respingeva la
richiesta di divorzio.
Enrico aveva
un trabocco d’ira, addossando tutta la colpa a Wolsey e ne approfittarono tutti
coloro che odiavano il cardinale per invidia, i quali scrissero un memoriale di
malvagità che presentarono al re.
Procuratore
del re era il suo segretario Stefano Gardner, il quale al ritorno da Roma
chiese a Wolsey, in presenza del re e del Consiglio reale, di indicare chi
fossero stati gli autori e inventori del divorzio. “Non potrò mai negare di essere stato io solo - rispose Wolsey; che se questa causa a quest’ora non fosse
cominciata, aggiunse, giudicherei che
quanto prima dovesse comimciare”.
Il re non
fece trasparire i suoi sentimenti, ma quando Wolsey si era presentato per la solita conversazione
con Enrico, non fu ammesso all’udienza e Wolsey si rese conto dei sentimenti
covati dal re; privato del vescovato di Winchester,
assegnato a Stefano Gardner, non molto tempo
dopo il re nominava Cancelliere, prima Thomas Howard, duca di Norfolk e poi
Tommaso Moro (1529).
Moro, vedendo
che i provvedimenti del re e del parlamento inclinavano a una separazione dalla
Chiesa di Roma e a un cambiamento di religione, che si opponevano ai suoi
principi, rinunziò al gran sigillo e scese dallo scanno (1532) con
maggior soddisfazione che non avesse provato nel salirvi (cit. D. Hume).
Di grande
intelletto e di spirito allegro, scherzoso e bizzarro, Moro, aveva disposizione per le facezie e per
i motteggi; il re cercava la sua compagnia e amava conversare con lui; era legato
alla religione fino al più stretto integralismo; infatti, quando fu coinvolto nella
questione del divorzio del re, volle dar prova della sua fermezza di carattere accettando
il martirio.
Moro si era rifiutato
di rionoscere, secondo
la legge statutaria, che il re era costituito capo supremo della Chiesa
d’Inghilterra e aveva assunto la insolita posizione di non dare una
risposta, in base al brocardo romanistico secondo il quale “qui tacet, neque negat neque utique
faterur”, vale a dire che chi tace non nega, né in
alcun modo parla, o, come egli soleva dire “l’Atto del Parlamento è come una spada a doppio taglio. perché se si
risponde in un modo, si rischia la morte dell’anima e se si risponde
nell’altro, si rischia la morte del corpo”.
Era tanto convinto
della vita eterna dell’anima che alla moglie che lo scongiurava di obbedire al
re e conservare la vita; rispose che non intendeva scambiare venti anni della
vita terrena con l’eternità!
Anche sul
patibolo non aveva perso il suo senso dell’humor in quanto, mettendo la testa
sul ceppo, la sua lunga barba saarebbe stata in gran
parte tagliata; pregò il boia di accomodargkiela in
modo che non fosse tagliata; il boia gli disse: che vi importa della barba qando avrete
tagliata la testa; Moro soggiunse; Non importa a me, ma bene a te,
per essere censurato di non saper fare bene il tuo dovere, essendo stato
comandato di tagliarmi il capo e non la barba!
Tornando a Wolsey, dopo
aver soggiornato ad Asher, aveva ottenuto di passare a Richmond avuto in
compenso di Hampton-Court, da cui i nobili avevano ottenuto di farlo sloggiare
(questo palazzo era stato definito da Gregorio Leti il più superbp,
magnifico, delizioso d’Europa); avendo poi dovuto lasciare il vescovato di York,
Wolsey aveva fissato la sua dimora a Cawood
nell'Yorkshire dove era stato molto apprezzato per la sua gentilezza e
ospitalità.
Dovendo
celebrare un pontificale, voleva indossare una mitra piena di gemme che gli era
stata sequestrata dal re e aveva mandato a richiederla, ma il re diede ordine
al conte Enrico di Northumberland di arrestarlo per
fellonia e condurlo a Londra per essere processto. Improvvisamente
durante il viaggio, Wolsey fu colto da diarrea e fu condotto alla badia di
Leicester dove disse ai monaci che vi si era recato per lasciarvi le sue ossa;
messo a letto non si rialzò più (cit. D. Hume,); per questa sua morte
improvvisa si era sospettato che si fosse avvelenato, ma è probabile che la
morte (1530) fosse stata naturale, togliendo al suo re il gusto di fargli
tagliare la testa!
L’immensa
quantità dei beni da lui accumulati gli fu sequestrata e di York Place, poi Withe
Hall, che egli aveva fatto ampliare ed arredare con magnificenza, Enrico ne
fece una residenza reale.
Ritratto di ignoto
Firenze – Galleria
degli Uffizi
LO SCOMPIGLIO
DI
ENRICO VIII
CREATO DA
A |
nna Bolena si
era recata in Francia (1515) al seguito della sorella di Enrico, la prrincipessa Maria (1496-1533),
divenuta regina di Francia per aver sposato Luigi XII, lei di sedici anni (ma,
ad ogni buon conto, aveva già dato il suo “cuore”
al giovane visconte di Lilla, dai modi signorili, che per diposizione di
Enrico, l’accompagnava e diventerà duca di Suffolk),
lui di cinquantatre, carico di acciacchi, il quale
preso dall’erotismo che gli suscitava la bella e giovanissima moglie, dopo tre
mesi di matrimonio rendeva la sua anima.
Anna rimaneva
come damigella d'onore della nuova regina Claudia, moglie di Francesco I che gli
era succeduto e dopo la morte della regina Claudia, fu damigella d'onore
della duchessa d’Alençon,
sorella di Francesco I; dopo questo apprendistato, rientrava in Inghilterra
(1525) accolta a Corte come damigella della
regina Caterina (che in quel periodo aveva quarantasei anni, Anna ventisei ed
Enrico trentotto).
Alla
Corte francese, prima di Anna, vi era stata la sorella Maria Bolena, che era
una bella ragazza con labbra voluttuose, colta nella sua freschezza da
Francesco I, che avendo la sifilide, la dispensava alle sue amanti (v. in Art.
Diana di Poitiers ecc.) e quando Enrico
si era recato al Campo del drappo d’oro (*), l’aveva presa con sé, riportandola
in Inghilterra.
Il
nonno delle due sorelle Maria e Anna,
era Goffredo Boulen, mercante, che era stato sindaco
di Londra (1457); il primo a distinguersi nella famiglia era stato suo figlio Guglielmo che aveva sposato una figlia
di Thomas Butler conte di Ormond; il figlio di costoro, Thomas Boulen aveva sposato
Elisabeth, figlia di Thomas Howard duca di Norfolk da cui aveva avuto un
maschio, Giorgio, visconte di Rochefort e due femmine, che erano Maria, che in
seguito sposava William Carey, Gran Scudiero e Anna; le due sorelle, come
abbiamo detto, erano state ambedue alla corte
francese, una specie di lupanare di lusso, atto a svezzare le giovani fanciulle
della nobiltà.
Nella descrizione di p. Pollini,
Anna era di alta statura, dai capelli neri, dal viso molto lungo, di colore
pallido come se avesse patito spargimento di fiele; nella gengiva superiore
aveva un sopradente e nella mano destra, che copriva,
aveva un sesto dito; sotto il mento
aveva un gonfiore di carne (gozzo, ma per altri lo aveva tra le due mammelle
che sembrava ne avesse tre!). onde per ricoprire la deformità soleva coprire il
collo e il petto, così seguita dalle altre dame di palazzo le cui parti si usava
portare scoperte.
Per il resto
appariva affatto bella e specialmente leggiadra nelle labbra, gentile nelle
facezie e grazia nel ballare e giocare; i vestiti che ogni giorno cambiava, erano bellissimi e fu sempre singolare e per tutti i
cortigiani esempio e specchio.
Ma quanto a
quella parte che appartiene alle aspirazioni fu piena di ambizione, invidia e disonestà
e fin da quando era fanciulla di quindici anni, per cominciare a dare buon
saggio di sé, si accoppiò con il coppiere Thomas Boleyn
e con il suo cappellano.
Fu poi
mandata alla Corte francese dove viveva tanto poco onestamente che era chiamata
“acchinea”,
cavalla inglese ed essendo venuta in gran dimestichezza e familiarità con il re
(Francesco I) era chiamata la mula del re e pur essendo macchiata dell’eresia
luterana, seguiva l’usanza di quella Corte di andare a messa e seguire l’usanza del re cattolico.
Tornata in
Inghilterra era entrata nella famiglia del re (come damigella di Caterina) rendendosi avveduta e astuta, avendole il re
fatto mostra delle fiamme che per lei portava nel petto. ed essendosi accorta
di quanto egli agevolmente mutasse capriccio con le altre concubine e
ricordando come erano miseramente cadute dalla grazia e favore, prima sua madre
e poi sua sorella, cominciò a non prestare orecchio alle lusinghevoli parole e
combattimenti amorosi del re, se egli non l’avesse presa in moglie. E quanto
più il re la combatteva, tanto più lei faceva resistenza, santamente giurando
che nessuno avrebbe avuto il fiore della sua verginità, se non a colui che le
fosse stato marito sommamente fingendo, giacendo seco, di esporre il suo corpo
al peccato.
Con queste arti- prosegue p. Pollini - Anna immischiava l’animo e il cuore del
re che di lei, ogni giorno, più che mai invaghito, ripudiava Caterina, per
prendere una vergine, così buona e così santa, come era Anna Bolena”.
Non vorrei,
scrive p. Pollini, che i lettori più
prudenti mi biasimassero, parendo loro che in questa storia io racconti alcune
cose che per essere minime e vilissime di qualità rispetto alla qualità della
storia, sarebbe stato meglio tacerle, perché a me è parso non doverle tacere,
non solamente perchè sono state scritte dal grande
Nicolò Sandero, ma perché seguendo la verità della storia, queste minuzie mi
servono per manifestare quanto sia cieca la passione dell’amore poco onesto,
che ebbe la forza di far traboccare Enrico che, potentissimo e giudiziosissimo principe, macchiava la fama e l’onore
proprio con la perpetua rovina di quel reame.
Così pensava p.
Pollini, ma per noi che li leggiamo a distanza di secoli, quegli avvenimenti
sono da considerare, se accaduti, superati, che non avevano avuto grandi
conseguenze sugli sviluppi del regno sia con Enrico VIII, sia con Elisabetta, che vedremo brillare di luce propria.
D. Hume
(op.cit.) ritiene che Anna Bolena fosse
di costumi innocenti, anzi virtuosi ma un certo non so che di gaio e leggero
nel contegno, la metteva fuor di guardia e la rendteva
meno circospetta sui doveri della sua situazione e la sua educazione francese
la portava a non osservare la rigida etichetta inglese.
Ritornando
a fonti meno ardenti, Anna anche se non bella, era piccante, sprizzava fascino,
il suo insieme sorpassava la stessa bellezza, scriveva l’abate Raynal (Histoire
du divorce de Henri VIII et
Caatrine d’Aragone, Paris,
1763); una taglia perfetta, il gusto per
la danza, una voce toccante e il talento per suonare diversi strimenti, rivelavano l’esplodere della sua prima
giovinezza; aveva appreso delle maniere, un tono, dei modi che avevaano fatto fissare su di lei l’ammirazione della Corte
di Londra.
Il
primo ad essere colpito daal suo fascino, era stato Henry
(per altri, Thomas) Percy figlio del conte di Northumberland,
della prima nobiltà, col quale era fidanzata; sebbene nipote del duca di
Norfolk, non poteva competere con Percy che alla morte del padre sarebbe
divenuto il sesto o settimo conte di Northumberland,
a lei superiore per ricchezza e nobiltà (cit. abbé
Raynal) .
In
ogni caso Percy, pur nella consapevolezza dei desideri del re, insisteva
nell’intenzione di sposare Anna, nonostante il padre gli avesse fatto rilevare
a quali pericoli si esponesse, se continuava ad inistere
nel disegno di sposare Anna Bolena e trattandolo da folle e insensato gli rproverava la sua cattiva condotta e inutilmente lo
aveva minacciato di diseredarlo.
Alla fine
Percy si sottomise e lasciò libera Anna Bolena, sposando, poco tempo dopo la
figlia del conte Giorgio di Shrewsbury, che moriva dopo il matrimonio della
figlia (1526) con Percy.
Nel
frattempo Enrico, dopo aver nominato Anna Bolena marchesa di Pembroke
(settembre 1532), nel mese di novembre faceva chiamare un prete di nome Orlando
Lec (che sarà nominato vescovo di Covenry)
e faceva celebrare le nozze seguendo il rito cattolico, in una cappella di Wite-Hall; alla cerimnia erano
presenti Thomas Cranmer (di recente nominato da
Enrico arcivescovo di Canterbury, per la morte dell’arcivescovo William Warham) e il duca di Norfolk, zio di Anna che rimase
incinta dopo poco il matrimonio, dando prova di aver ceduto anzitempo alle voglie
del re.
Enrico,
resosi conto che la gravidanza progrediva ritenne fosse giunto il momento di
rendere pubblico il matrimonio (1533) e
fece emettere una sentenza che invalidava il matrimonio con Caterina (che
avrebbe dovuto essere emessa prima del matrimonio!) e dopo che Anna era stata,
con grande sfarzo, incoronata regina (1533); nel mese di settembre nasceva
Elisabetta che, per la gioia del re ebbe anch’essa il titolo di principessa del
Galles; ciò avvenne primaa che fosse dichiarato nullo
il matrimonio con Caterina (che morirà nel gennaio del 1535).
Elisabetta
(1533-1603) era l’unica sana nata da questa unione, su tre aborti dovuti a tare portate
dal patrimonio genetico dei Tudor che due ricercatrici hanno individuato nella
sindrome degenerativa di McLeod, che si era sviluppata a quarant’anni (vale a
dire dal 1531) e aveva comportato il deterioramento fisico e psichico di
Enrico; ma, a nostro parere i due mali che lo affliggevano già da prima erano la sifilide e il diabete.
*) Il
Campo del Drappo d’oro era stato il grande avvenimento del 1520 in cui Entico VIII ncontrava Francesco I (1520) tra Guines
e Ardres, nella più inusitata magnifocenza, ciacuno con il
proprio seguito, fissato nel numero di cinquemila partecipanti; i nobili che vi
parteciparono si ingolfarono di debiti, di cui molti non se ne liberarono per
tutta la vita; il duca di Backingham (discendente in
linea femminile dal duca di Glaucester, figlio di
Edoardo III, primeggiava per lignaggio e
ricchezza; pur essebdo ricco era economo e nel vedere
a quale ingente spesa giunsero gli allestimenti, uscì in parole disgustose nei
confronti di Walsey, ritenendolo l’autore della
spesa; questa imprudenza non fu dimenticata. Infatuato di astrologia
giudiziaria, un frate certosino di nome Hopkins lo convinse che un giorno
sarebbe salito sul trono d’Inghilterra. Era giunto a minacciare la vita del re;
fu tratto in giudizio e il duca di Norfolk il cui figlio, conte di Surrey aveva
sposato la figlia di Buckingam, fu creato lord
maggiore per esehuire la sentenza; Edward Stafford,
duca di Buckingam, condannato a morte, non venne
graziato dal re, come si riteneva, per la vendetta covata da Wolsey; il suo
palazzo fu destinato ad abitazione reale.
EMERGE
THOMAS
CROMWELL
FINITO
SUL ROGO
MENTRE
LA CONDANNA
PER
ANNA BOLENA
E’ MUTATA
IN
DECAPITAZIONE
I |
n
questo periodo sale la scala degli onori alla maniera di Wolsey, l’ambizioso
Thomas Cromwell, nemico del clero cattolico, entrato nelle simpatie di Anna e
per i consigli dati ad Enrico nominato Tesoriere, Cancelliere del regno e Vicario
generale o vicedreggente, nuova carica che gli
assegnava il potere assoluto sulla Chiesa.
Il
suo matrimonio
lo aveva fatto scacciare dalla Università di Cambridge dove insegnava ed era
stato il primo a scivere un libro sul divorzio del re (1530) più ardito
di ogni altro teologo, che gli procurò la celebrità e le simpatie del re.
Alla
morte dell’arcivescovo Warham (1532) fu eletto
arcivescovo di Canterbury, vale a dire primate d’Inghilterra, ma la bolla di
nomina del papa giungeva l’anno successivo (1533), con il suo giuramento di
fedeltà al papa, che non si poteva conciliare né con la sua dottrina (era di
animo luterano scrive Raynal in cit, Divorce), né con
la sua condotta: pubblicamente era il ministro delle passioni di Enrico;
infatti dichiarava nullo il matrimoniio di Enrico e
Caterina, le cui conseguenze abbiamo già esaminato. Cromwell instaurò una
politica inquisitoria nei confronti dei monasteri che faceva ispezionare dai
suoi commissari; il suo primo provvedimento fu di congedare i frati e le monache che non
avessero compiuto i ventiquattro anni. Poi
fu la volta del provvedimento del Parlamento che sopprimeva i monasteri con un
reddito sotto le duecento sterline, che erano i monasteri più licenziosi; ma in
tutto ne furono aboiti seicentoquarantacinque,
oltre agli arredi e argenteria per centomila sterline; con la conseguenza che
furono immessi sulle strade diecimila accattoni.
Anche
la stella di Cromwell, nominato conte di Essex e insignto
dell’ Ordine della Goarrettiera,
fino ad allora assegnata a personaggi di alto lignaggio, doveva tramomtare a causa della sua avidità. Odiato dai nobili per
aver accumulato una infinità di cariche, dai catttolici
come nemico della loro religione e dai protestanti perché concorreva nelle
persecuzioni contro di loro, anche il re se ne voleva disfare perché riteneva che
gli aveva fatto perdere l’amore dei sudditi.
E’
il periodo, come vederemo, dell’amore di Enrico per
Caterina Howard, nipote, del duca di Norfolk che odiava Crpmwell
e lo fece arrestare senza processo, con la sola dichiarazione della Camera dei
Pari che lo accusava di eresia e delitto contro lo Stato e con l’approvazione
della Camera dei Comuni; inutile era stata una accorata lettera che aveva
scritto a Enrico dalla Torre: Cromwell fu arso vivo.
Anna aveva
avuto un altro aborto ed Enrico smaniava per avere un figlio maschio; a Greenwich dove si
trovava la Corte, si stava svolgendo un torneo ed Enrico aveva visto Anna che da
una finestra aveva lasciato cadere un
fazzoletto per un favorito che stava passando in quel momento perché si
asciugasse il sudore del viso,
Enrico prestava
orecchio alle voci maligne della viscontessa di Rocheford
(che gli faceva da mezzana per gli amori clandestini), moglie di Giorgio Boleyn, visconte di Rocheford,
fratello di Anna, la quale nutriva un
vero odio per la cognata e tacciava suo
marito di avere una tresca con la sorella, mentre Enrico Norris, capo del
Guardaroba, Weston e Brereton, gentiluomini di camera
e Marco Smenton sovrintendente di camera, godevano le
grazie della regina e la servivano forse con troppo zelo, da dar luogo ai
pettegolezzi.
La gelosia di
Enrico non derivava dall’affetto, ma dall’orgoglio ed era dovuta alla
circostanza che aveva già messo gli occhi su una giovane damigella del seguito
di Anna (che Anna aveva potuto vedere un giorno mentre la teneva sulle sue
ginocchia), di singolare bellezza; costei era Jean Seymur,
figlia di sir John Seymur e le intenzioni che
frullavano nella mente di Enrico nei confronti di Anna non erano delle migliori.
Egli, per la
scena del fazzoletto, in preda alla gelosia, abbandonò Greenwich e se ne tornò
a Londra mentre Anna ricevette l’ordine di rimanere nella sua stanza, mentre Norris,
Weston, Brereton, Smenton e
il fratello Giorgio furano arrestati; il giorno seguente Anna fu prelevata per
essere portata alla Torre di Londra ed ebbe una crisi isterica in quanto non riuscivaa a spiegarsi il motivo di ciò che stava accadendo.
QUI
CONSIDERAZIONI DI LETI
Norris,
Weston, Brereton, Smenton
dopo essere stati suppliziati, furono condannati per condotta criminosa con la
regina; Anna e il fratello Giorgio furono condannati da un collegio di giurati composto dal duca di Sussex, marchese
di Exeter, conte di Arundel e duca di Norfolk, zio di
Anna (mentre padre Pollini aggiunge anche Tommaso Boleno
che, per quanto abbiamo detto, non si considerava padre di Anna), per incesto;
Anna era condannata a essere bruciata o
decapitata a scelta del re, il quale la graziò concedendole la
decapitazione (maggio 1536); inutile fu una sua accorata e pietosa lettera al
re che aveva già maturato l’intenzione di sostituirla con il suo nuovo
gioiello.
Non pago
della condanna, Enrico volle far dichiarare nullo il matrimonio con Anna, non
rendendosi conto che con la nullità del matrimonio venivano a cadere tutte le
accuse di incesto e infedeltà a lei addebitate; decise anche di dichiarare
illegittima la prole
dei due matrimoni con pene per chi avesse asserito il contrario; mentre
il Parlmento, ligio ai suoi voleri, ratificava tutte
le sue decisioni.
NUOVO MATRIMONIO
DI ENRICO CON
JEANE SEYMUR
RIFORMA DEL
CULTO
E PERSECUZIONE
DEI
PARENTI E AMICI
DEL CARDINAL
POLO
D |
opo aver sposato Jeane e
annullato ogni riconoscimento di figli nati precedentemente
al matrimonio con la Seymur, Enrico riunì un Concilio
(1536) per decidere la forma del culto che si dovesse seguire dando incarico a
Cromwell si decise che Pater noster e Ave fossero
recitati in lingua inglese e fu scritto un libretto cattolico in cui si
ordinava ciò che si dovesse credere ed osservare e per i cattolici conteneva sei punti essenziali sul Santissimo Sacramento
con la transustantazione; questo sacramento si poteva
ricevere in una sola forma; rimaneva il celibato per i sacerdoti e l’osservanzaa della castità e vedovato; rimaneva la
celebrazione della messa e infina si manteneva la
segreta confessione.
Inoltre nel 1539 fu emesso un bill (erano i decreti emessi dal re) con
sei articoli
che imponeva
l’osservanza di norme cattoliche, meno il riconoscimento dell’autorità del
papa.
RIVEDERE
Si stabilì
infine che chiunque discustesse di religione, fosse
considerato eretico.
Inoltre, per
la tendenza di Cromwell verso il protestantesimo e dopo averli combattuti, si
fissavano principi comuni a luterani e zwigliani.
Cromwell era decapitato (1540) e nel 1543 era pubblicato il Libro del re; manteneva i sacramenti del battesimo,
eucaristia e penitenza, sebbene quest’ultima non fosse stata ordinata da
Cristo; il nome del papa era eliminato, sostituito dal suo (il nuovo Papa Paolo III pubblicava la
sentenza di scomunica e nullità del matrimonio emessa da Clemente VII e non
pubblicata) ed eliminato anche il purgatorio; disponeva un nuovo ordine dei
vescovi. Stabiliva che i minori dei ventiquattro anni uscissero dai monasteri; e tornassero al secolo, quelli che superavano
tale età potevano fare lo stesso. Infine spogliò gli altari
e le chiese di tutte le reliquie, ornamenti e cose pregiate.
I cattolici
in molte province del Nord presero le armi ed Enrico mandò i i duchi di Norfolk e Suffolk
per sedare le rivolte; esse furono sedate con il giuramento, da parte di Enrico
che le disposizioni sarebbero state emendate e, una volta sedate le rivolte, furono
giustiziati per mano del boia (1537) duemilaottocento cattolici, compresi
nobili e abati. Non fu risparmiato il figlio del primo signore del regno duca di Norfolk,
Thomas Howard, col pretesto che avesse
contratto parola di matrimonio con Margherita Tudor, sorella di Enrico, il
quale fu arrestato e poi trovato morto avvelenato; in questo periodo moriva
anche il figlio naturale di Enrico ed
Elizabeth Blount, Henry FitzRoy, duca di Richmond e Somerset,
morto senza figli.
Jane Seymur, minata dalla consunzione, (1537) metteva al mondo
il figlio Edoardo (1537-1553); il parto si presentava difficile e a Enrico
fu chiesto se volesse che rimanesse in vita la madre o il figlio; il re rispose
di salvare il figlio, che di mogli ne avrebbe agevolmente trovate; Jane morì e
il figlio fu salvo, ma era malaticcio e, come vedremo, morì sedici anni.
Il papa Paolo
III (1534-1549) con l’intento di trovare una pacificazione, nominava
cardinale Reginald Polo (Poole
(1500.1558), figlio della contessa di Salisbury, di stirpe regia in quanto
figlia di Giorgio, duca di Clarence, fratello di Edoardo IV il quale era a
studiare a Parigi quando il clero francese si era dichiarato contrario al divorzio
di Enrico VIII, ma lui con l’inviato del re si era mantenuto estraneo alla
diatriba.
Il re voleva
averlo nelle sue mani e aveva chiesto a Francesco I di mandarlo in Inghilterra;
Polo, recandosi a Cambrai aveva appreso che in Inghilterra era stato dichiarato
colpevole di lesa maestà e che sulla sua testa era stata fissata una taglia di
cinquantamila scudi.
Il papa,
informato, lo chiamò a Roma e gli assegnò delle guardie per salvaguardare la
sua sicurezza, nominandolo suo legato nelle Fiandre. Enrico, irritato
perché gli era sfuggito, sfogò la sua collera contro i suoi parenti e amici e
fece tagliare la testa (1541) alla madre che era in età avanzata, alla
marchesa Gertrude d’Ex, ad Adrian Fortecu e Thomas d’Ingley,
cavaliere dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, a Henry Polo, signore di Montaigu e a sir Goffredo, fratelli di Reginald, a Henry de
Courtenay, marchese d’Ex e conte di Devonshire
(figlio di una figlia di Edoardo IV), a Eduard
Nevil, cavaliere dell’Ordine della Casa dei
conti di Warwic e Salisbury e a due preti (Sandero
op. cit.); di tutti costoro, solo Goffredo della Pole era stato graziato.
MENTRE
ANNA DI CLEVES
E’ RIPUDIATA
CATERINA HOWARD
FINISCE SUL
PATIBOLO
E |
ra stato
Cromwell ad aizzare Enrico contro Polo e perseguitare i cattolici e poiché in
Germania era morto il cattolico duca di Gheldria e gli era succeduto il duca Gugliemo di Cleves, capo dei
principi protestanti, riuniti contro l’imperatore nella Lega di Smalcalda,
Cromwell, per fortificare l’alleanza col principe germanico, aveva pensato
al matrimonio tra Enrico e la sorella
del duca, Anna di Cleves.
Un ritratto
di Hans Holbein fece decidere Enrico al matrimonio e Anna fu spedita in
Inghilterra; Enrico era curioso di vederla per accertarsi che fosse rotonda nel
fisico, in quanto lui era già in uno stato avanzato di pinguedine (*).
Curioso di
vederla, si recò segretamente a Rochester e sebbene l’avesse trovata grande e pienotta come desiderava, gli
parve priva di bellezza (come in effetti
appare dai ritratti che vediamo noi, non di quelli mostrati al re! ndr.) e la giudicò una cavallaccia fiamminga; le cose peggiorarono quando si accorse che Anna parlava
l’olandese che lui non conosceva e gli veniva a mancare il piacere della
conversazione che egli amava e lo avrebbe ripagato della sua grossolana figura.
Tornato a
Greenwich di malumore, i suoi consiglieri discussero sulla possibilità di
sciogliere il patto di matrimonio e rimandarla a casa. Ma per una decisione del
genere, parenti e amici della principessa si sarebbero risentiti dell’affronto
ed Enrico decise di affrontare il matrimonio, celebrato fastosamente a
Greenwich (1540); ma della povera Anna ne era disgustato, abituato alla
freschezza giovanil com’era, il matrimonio non fu
consumato; ma era aumentato il suo risentimento nei confronti di Cromwell, che come abbiamo visto, era finito sul patibolo.
Il matrimonio
fu discusso in Parlamento dove la Camera dei Pari e quella dei Comuni chiesero al re,
con una petizione, di lasciare che il Parlamento esaminasse per mezzo del Convocator (costituito da una commissione
di vescovi e abati), il suo matrimonio con Anna di Cleves;
risultò che Anna era stata fidanzata con il duca Antonio di Lorena, quando
ambedue erano in minore età e il fidanzamento era stato annullato per comune
consenso.
Ciò
rappresentava motivo di divorzio, al quale (scrive D. Hume op. cit.), se ne aggiunsero altri
due un pò strani: di
non aver dato l’interno assenso all’atto di nozze e di non aver ritenuto di
consumare il matrimonio. Il Convocator
si mostrò soddisfatto e solennemente il matrimonio fu dichiarato nullo e
ratificato dal Parlamento che emise la sentenza che fu notificata alla principessa.
Questa principessa era dotata di grande apatia
e accettò l’offerta di Enrico di adottarla come sorella, di assegnarle il
seggio dopo la regina e la propria figlia e di assegnarle un reddito vitalizio
di tremila sterline e, così soddisfatta, scrisse al fratello (il padre nel frattempo era morto) che era stata ben trattata e
che rimaneva in Inghilterra.
*) Alla gamba
destra di Enrico, si era aperta un’ulcera cancerosa che emanava un odore fetido
e poiché continuava a mangiare e bere senza alcun limite, il suo ventre si era
rilassato a tal punto che a malapena riusciva a passare per le porte ed era
tenuto con un cerchio di ferro; inoltre aveva una mano pressoché paralizzata e
per questo era divenuto irritabile e violento.
Al
Metropolitan Museum di New York era stata trovata un’armatura enorme che non si
sapeva di chi fosse, poi si scoprì che era di Enrico VIII, certamente indossata
quando, con l’’esercito era andato ad assediare e prendere (1546) Boulogne,
l’anno precedente della sua morte.
L’ULTIMO
MATRIMONIO
DI ENRICO CON
CATERINA PARR
E MORTE DEL RE
S |
istemata così
la faccenda con Anna di Cleves, l’amore di Enrico si
riversò su Caterina Howard bella e gentile che con i suoi modi era riuscita a
cattivarsi il suo amore al punto che egli
non ne faceva mistero, tanto da ringraziare il cielo nella cappella di
corte, sulla felicità del suo stato matrimoniale,
Ma il diavolo
si nasconde nei particolari: Caterina era per sua natura una dissoluta (e su questa
sua debolezza non vi sono i dubbi sordicendogli che
sua sorella, addetta un tempo al servizio della vecchia duchessa di Norfolk,
gli aveva narrato particolari della sua vita licenziosa con due giovani al
servizio della duchessa, Derham e Mannoc,
di cui lei non ne aveva fatto neanche tanto mistero con il personale della
duchessa.
Cranmer ne parlò con il conte di Hertford e
con il cancelliere che decisero di riferire al re e ritenne che più che
riferire a voce, sarebbe stato più prudente scrivere una relazione che fu
consegnata al re. Enrico stentava a credere a ciò che leggeva e disse che
riteneva falsa tutta la relazione e Cranmer sapeva
bene che rischio stesse correndo, se non forniva le prove.
Si dovette
ricorrere alla sorella di Lascelles che risiedeva nel
Sussex. Sotto pretesto di una partita di caccia, interrogata, lei fu costante
nel riferire i particolari di ciò che sapeva e catturati Mannoc
e Derham, non solo confessarono ogni cosa ma
aggiunsero anche particolari che servivano maggiormente a disonorare la regina.
Tre cameriere della casa dei Norfolk erano a conoscenza del segreto di
Caterina, e una di queste aveva partecipato alcune notti ai suoi incontri con i
due amanti. Riferite queste circostanze al re, egli, dopo essere rimasto muto,
proruppe in un pianto dirotto e rimase sorpreso che la sua abilità di
riconoscere una vergine, come si era vantato in precedenza, in questo caso fosse
fallita.
La regina in
un primo momento negò, poi ammise che i rapporti si erano verificati prima del
matrimonio, ma vi erano le prove del suo rapporto con Thomas Colepepper dopo il matrimonio (che era un bel giovane.
scrive padre Pollini, da cui intendeva avere un figlio maschio da offrire a
Enrico che non era più in buono stato di salute, per soddisfare le sue voglie
di avere un maschio!) e risultava che aveva ripreso al suo servizio Francis Derham, in ricordo delle sarabande notturne in casa Norfolk.
Enrico, si
rivolse al Parlamento (1542), per avere una decisione; le due Camere emisero una sentenza per fellonia contro la
regina e la viscontessa di Rocheford e contro Colepepper e Derham e con altra
sentenza condannavano la duchessa di Norfolk, ava di Caterina e lo zio di
questa, Guglielmo Howard, con la moglie contessa Bridgewater e altre nove
persone, colpevoli di aver tenuto nascosta la cattiva condotta di Caterina; per
la Norfolk e altri giunse il perdono di Enrico, mentre lady Rocheford,
che era stata la causa principale del destino di Anna Bolena, fu decapitata con
la regina a Jowenville, “e la sua condanna, scrive Hume, servì
a confermare il pubblico, nella convinzione che aveva sempre nutrito per
quella infelice regina”.
Enrico aveva
fatto tradurre la Bibbia (il numero era limitato a cinquecento copie in quanto
non tutti sapevano leggere), concedendo a tutti il diritto di leggerla, ma vi
era stato un ripensamento in quanto (1453) molte
persone sediziose e ignoranti avevano abusato del permesso di leggerla e si
erano causate molte diversità di opinione, molte animosità, tumulti e scismi e si era finito con l’invertire il
senso delle Scritture, per cui si consentiva di leggerla soltanto a
gentiluomini e mercanti.
Nel mese di
luglio (1453) Enrico sposò la sesta moglie, Caterina Parr, vedova di lord Nevil Latimer, donna virtuosa e
colta, con la quale egli conversava e l’argomento che amava affrontare era
quello religioso, Su questo argomento la nuova regina propendeva per la linea luterana,
non gradita da Enrico, divenuto cruccioso e iracondo e certamente il rapporto
amoroso sarebbe stato interrotto da un’altra esecuzione se nel frattempo non
fosse intervenuta la sua morte.
Enrico prima
di morire aveva
convocato il Parlamento e aveva fatto stendere una legge in base alla quale
ristabiliva l’ordine di successione con il principe di Galles, seguio dalle due
principesse, anche se, come al suo
solito, lasciava la strada di queste, ingarbugliata, nel senso che non
annullava il precedente atto che le dichiarava illegittime.
Nessuno osava
parlare con il re delle sue condizioni fisiche, ma il baronetto Antony Denny prese coraggio
e lo esortò a prepararsi al destino che lo attendeva; Enrico rassegnato chiese
una tazza di vino bianco (*) e chiese di Cranmer; giunto
Cranmer, sebbene avesse conservato tutti i sensi, già
non parlava; gli chiese di dargli la prova che moriva nella fede di Cristo;
Enrico gli strinse la mano ed esalava l’ultimo respiro.
Enrico, tra i
suoi assassinii legalizzati dalle sentenze, non aveva risparmiato neanche l’anziano
Thomas Howard duca di Norfolk (1474.1554), suo cognato per essere marito della
sorella Maria, zio di due nipoti e suocero in quanto suo figlio naturale, duca
di Richmond, aveva sposato una sua figlia; oltre ad essere stato la colonna
portante del suo regno ed ora si trovava alla Torre per essere giustiziato; il
luogotenente venuto a conoscenza della morte del re, aveva differito
l’esecuzione, salvandolo da una ingiusta condanna.
*) A londra l’acqua era fetida come l’aria e si beveva vino dal
primo mattino, facendo colazione con un maialino arrosto di cui era ghiotto!
I PRIMI SUCCESSORI
DI ENRICO VIII:
. EDOARDO VI
E JEAN GREY
Edoardo VI (1537-1553);
E |
nrico per il
piccolo Edoardo aveva destinato un Consiglio di sedici Tutori in gran parte
cattolici, i quali miravano a ricostituire l’unità della Chiesa; tra costoro vi
era Eduard Seymur, conte di Ertford,
fratello di Jean Seymur, zwigliano
di religione, che si era autonominato duca di Somerset e verso il quale, alcuni
Tutori per viltà. altri per paura, non osavano contraddirlo, ad eccezione del
cattolico Thomas Wrosley, nominato Cancelliere da
Enrico.
Seymur oltre che Tutore di Edoardo si
autonominò Protettore del regno, nomina
convalidata da Edoardo, il quale gli confermava il titolo ducale, con diritto a
sedere alla destra del re sul trono;
Edoardo nominava il Parr, fratello di Caterina, conte di Essex; il barone di Sudeley,
marchese di Northempton; John Dudley, conte di Warwich; Thomas Seymur, fratello
del Protettore, fu fatto barone di Sudeley e Grande
ammiraglio dell’armata di mare; Edward Seffeld e
Riccardo Riccio, baroni e cavalieri; il Cancelliere Thomas Wrosley
fu nominato conte di Southampton, ma gli fu tolta la carica di Cancelliere, assorbita
dal Protettore che in pratica fungeva da viceré.
Egli aveva dichiarato
che tutto ciò che riguardasse il governo del regno e della Chiese,
appartenessero a lui, mentre Cranmer. arcivescovo di
Canterbury, come primate. avrebbe agito in base a benestare di Edoardo.
La morte di
Enrico era stata tenuta segreta per alcuni giorni fino all’insediamento dei
tutori, dopodiché Edoardo fu proclamato re d’Inghilterra e d’Ibernia; il suo breve regno di sette anni, era stato carico
di avvenimenti seppur non gestiti da lui personalmente, ma dai suoi tutori,
principalmente per opera del Protettore Seymur.
Edoardo
VI (1537-1553),
salito al trono all’età di dieci anni (1548), era un ragazzo intelligente e
portato per gli studi; conosceva il latino e francese, leggeva l’italiano e lo
spagnolo, non ignorava il greco e aveva buona conoscenza di filosofia, fisica e
musica; aveva un diario che ci è pervenuto a testimonianza dei
suo sentimenti interiori.
Preso
dalla nuova religione, aveva proseguito la politica religiosa del padre, ma, la
sua cagionevole salute gli aveva consentito di regnare solo cinque anni in
quanto moriva di consunzione.
Le sue doti di
intelletto avevano fatto ritenere che sarebbe stato un buon monarca, probabilmente
pizzocchero, in quanro era zelante in teologia, con
una certa tendenza alla intolleranza.
Gli erano
stati assegnati due insegnanti di latino e greco, uno laico e l’altro prete
sposato, che gli parlavano continuamente di religione; lo stesso facevano le
principesse Anna di Cleves e Caterina Parr ed altre principesse,
da rendergli odiosa la fede cattolica.
Con Edoardo
il protestantesimo diventava la religione legale del regno ed erano definiti i
seguenti punti; 1. il latino cessava di essere impiegato per le preghiere,
sostituito dalla lingua inglese e si adottava una liturgia in inglese, tradotta
in gran parte dalla liturgia cattolica. 2. Le chiese erano spogliate di tutti
gli ornamenti e si rapportavano al culto cattolico; gli altari erano soppressi,
i messali eliminati, tutte le insegne sacerdotali erano ripudiati ad eccezione
della cotta e un mucchio di pratiche come l’uso dell’incenso, delle candele,
dell’acqua benedetta, soppresse come idolatriche. 3. Una condanna formale era
sancita contro le dottrine del Purgatorio, delle indulgenze. della venerazione
e adorazione delle reliquie e delle immagini, dell’invocazione dei santi; abolito il culto
della Vergine, così popolare per i cattolici. 4. I sette sacramenti dei
cattolici erano ridotti al battesimo e all’eucaristia. La cresima, l’ordine, il
matrimonio sono conservati, ma solo come pratiche edificanti. Quanto alla
confessione auricolare, è lasciata alla discrezione di ciascuno. L’estrema
unzione è conservata nel senso che si consentiva a ciascun cristiano, al
momento di comparire
davanti al giudice supremo, di intrattenersi con un ministro del
Signore. 5. Gli anglicani, conservando il sacramento dell’eucaristia, sono ben
lontani dall’intenderla come nella Chiesa romana. Secondo loro “il corpo di
Cristo è donato, preso e consumato in maniera spirituale e celeste ed essi
negano nel termine più positivo, la presenza reale. Secondo loro, i laici come i preti, devono, come nella Chiesa primitiva,
comunicarsi con le due specie. Quanto alla messa, essi la consideravano come
una invenzione blasfema, per motivo che non si può offrire altro sacrificio per
il peccato, se non quello offerto sulla croce. 6. La Fede è sufficiente per
ottenere la grazia per merito di Gesù Cristo e la Speranza, come la Carità non
sono indispensabili. 7. Il celibato ecclesiastico era abolito, 8. La gerarchia
extra ecclesiastica era mantenuta, ma il re, al posto del papa al sommo,
comprende il bene assoluto e potente per decidere sul dogma, per fare amministrare
i sacramenti, per conferire la potenza spirituale come lo stesso pontefice romano. Questo
sistema religioso, istituito da Edoardo, fu successivamente soppresso dalla
regina Maria.
In quel
periodo in Scozia moriva il re Giacomo V e gli succedeva la figlia Maria,
appena nata (1542); il Protettore aveva pensato alla unificazione della Scozia
all’Inghilterra, desiderata da dieci secoli, facendo sposare con la forza, a
Edoardo, Maria.
L’esercito
inglese si scontrava con quello scozzese nella battaglia di Pimki,
presso Musselbourg, nelle vicinanze di Edimburgo
(10.9.1547), che si risolveva con una carneficina di scozzesi. Questo disastro
non fece che aumentare l’avversione degli scozzesi nei confronti degli inglesi, che
mandarono la piccola regina Maria in Francia (1548), per non farla sposare a
Edoardo.
Il Protettore
Edward Seymur aveva un fratello, Thomas Seymur, Ammiraglio di maree e Capitano generale della
milizia del re, che troveremo quando tratteremo della giovanissima Elisabetta,
il quale, con le donne, aveva facilità di approccio.
Alla morte di Enrico aveva sposato òa sua vedova, Caterina Parr, la quale a Corte entrava in
competizione e in discordia con la moglie del Protettore, sulle questioni di
precedenza; la prima come moglie del re defunto, la seconda, Ann Stanhope, come
moglie del Lord Protettore; ciascuna pretendeva la dignità della precedenza.
In questa
discordia avevano coinvolto i rispettivi mariti; in particolare, il Protettore
si lasciava dominare dalla moglie, della quale ne approfittò John Dudley, conte
di Warwich, il quale mirava alla rovina dell’uno e
dell’altro e coinvolse il predicatore Ugone Latimer,
il quale al tempo di Enrico era stato espulso dal vescovado di Worchester in quanto mangiava carne di venerdì.
Latimer come predicatore, per il suo
particolare linguaggio, con i bei modi e le piacevolezze che raccontava era
gradito al volgo che lo chiamava apostolo
degli inglesi e nelle sue prediche accusava Thomas come ribelle del re e
traditore, che macchinava contro il re insidie e tranelli e meritasse di morire.
Intanto la
discordia tra le due mogli cresceva (ma prevaleva Caterina) e il Lord
Protettore che si lasciava governare dalla moglie decise che il proprio
fratello dovesse morire; ma a parte l’ambizione, non vi era un motivo valido
per la sua eliminazione, se non ricorrendo all’eresia.
Egli si
rivolse all’apostolo inglese, convincendolo
a indicarlo nelle sue prediche come ribelle e traditore del re e del suo
Protettore e Thomas il 20 Marzo 1548 finì per essere
arrestato, processato e condannato alla decapitazione; e, anche la moglie
Caterina, che partorì in quegli stessi giorni, moriva di parto.
Alla fine del
regno di Edoardo le dottrine e il culto protestante erano completamente
stabiliti; nella capitale come nelle altre grandi città come nelle contee
prossime a Londra e che erano le più esposte alle innovazioni, la nuova fede
era adottata dalla maggioranza delle classi inferiori. Tuttavia
il regno di Maria fece ancora di più per il protestantesimo, di Edoardo;
l’inclinazione di Maria per il cattolicesimo servì a stimolare l’energia dei
predicatori protestanti. John Knox, uno di essi, disse che in un sermone dato a Amersham, nel Buckingamshire, con grande partecipazione di pubblico, egli
fece una violanto discorso contro la principessa
Maria e avvertì il pubblico del malessere che si sarebbe verificato in Inghilterra
se questa principessa fosse salita sul trono ciò che fu detto anche di Jean Seymur durante il suo corto regno.
Maria nel suo
primo anno di regno ristabilì tutto quello che suo fratello Edoardo aveva
annullato durante il suo regno; il Parlamento, appena eletto (1553) aboliva con una sola legge, tutti gli atti che
si riferivano ai sacramenti che dovevano essere somministrati nelle due specie,
all’elezione dei vescovi, all’uniformità del culto, al matrimonio dei preti,
all’abolizione dei messali e delle immagini, all’osservanza delle domeniche e
dei giorni di feste, orinando che il servizio divino fosse celebrato come nell’ultimo
anno del regno di Enrico VIII.
Nello stesso
tempo, i vescovi protestanti
........ Galibeert et Pellé (Angleterre: La Tudors) 236
Dudley, duca
di Northumberland, incominciò ingordamente a desiderare
di impadronirsi del potere e concepì l’idea di appropriarsi del regno con il
seguente ardito disegno: egli, riteneva che gli inglesi, nonostante il
testamento di Enrico VIII, non avrebbero accettato come regine le due
principesse Maria ed Elisabetta dichiarate bastarde e non avrebbero accettato
la stessa Maria Tudor e Maria Stuart perché cattoliche. Il duca di Suffolk, dalla moglie Maria di Francia, aveva avuto due
figlie, Frances, che aveva sposato Henry Gray e Elionor, che aveva sposato Henri Clifford, conte di
Cumberland.
Da Frances ed
Henry Gray era nata Jane, che Northumberland aveva concertato
con il duca di Suffolk di far sposare al suo quarto
figlio Guilford Dudley; egli inoltre, aveva ottenuto da Edoardo moribondo,
nell’interesse del protestantesimo, di scartare dalla successione al trono le
due sorelle, in favore di Jean, che aveva la stessa età di Edoardo ed era stata
compagna della sua infanzia, oltre ad essere zelante protestante; e aveva
indotto i pari del regno a concedere l’assenso alla successione.
Jean (nata nel 1537), aveva
appena sedici anni e secondo un
contemporaneo, anche se non bella, era carina,
amabile senza affettazione, dolce e modesta; aveva ricevuto un’ottima
educazione letteraria e l'amore che aveva per lo studio assorbivano quasi interamente tutto il suo
tempo e la lettura di Platone e del Nuovo Testamento in greco, testimoniavano
il suo alto livello di preparazione.
Jean, nulla
sapeva del colpo di stato che le aveva preparato il nonno, duca di Northumberland e alla notizia che egli le aveva dato, di
essere stata eletta regina, era svenuta dallo sgomento. Jane era restìa ad
accettare, ma il duca alla fine la convinse a prendere la corona e Northamberland e Suffolk la dichiarano
regina (1553).
Northumberland aveva cercato di sorprendere a
Londra la principessa Maria per arrestarla, ma Maria avvertita era fuggita ed era
riparata presso la rocca di Framing nei pressi di Londra con quarantamila
volontari, accompagnata da Elisabetta e riesce a sventare il colpo di stato; Northumberland, processato, finì sul patibolo decapitato; Jean
Gray arestata, rinunnziava alla
carica, ma fu condannata a morte con il marito Guildford Dudley.
La regina Maria,
che padre Pollini considerava “regina clementissima
e nemica dello spargimento di sangue, molto più inchinevole all'amorevolezza
che alla vendetta, accettando le scuse di questa meschina signora, benignamente
la perdonò e per dovere di giustizia insieme ad alcuni dei suoi, le fece tagliare
la testa” (!).
Maria, come la vediamo
riprodotta nei dipinti, appare piuttosto rancorosa e vendicativa e non era stato
certamente il senso di giustizia ad aver fatto prevalere, per una
diciassettenne vittima della rapacità degli altri, la condanna a morte, ma piuttosto,
la sua fermezza nel non voler abiurare alla nuova religione.
Il cappellano
della regina infatti, le aveva chiesto di convertirsi,
ma Jean era rimasta salda nella sua fede e aveva rifiutato di abiurare.
L’aver
concesso il perdono e far eseguire la condanna, da parte della regina, era un
chiaro sintomo di vendetta; per questi raptus
omicidi, determinati dal desiderio di voler estirpare l’eresia, Maria stava per
far perdere la vita anche a Elisabetta, salva solo per le insistenze del
primate Gardiner; non era un caso che Maria si fosse meritato il nome di sanguinaria, dato poi ironicamente a un celebre
cocktail.
MARIA I
LA SANGUINARIA
(BOODY- MARY)
A |
lla
morte di Edoardo, succede Maria I Tudor (1516-1548) che salendo
al trono rinnova il lusso e gli ori eliminati negli ultimi tempi da Enrico e
ricostituisce la moneta impoverita che suo padre aveva portato al massimo della svalutazione, ingraziandosi, per quanto
possibile, il favore della plebe, per essere stata l’unica, tra tutti i Tudors, compreso Enrico - che per la sua ferocia avrebbero
avuto motivo di odiare- ad essere
odiata; per prima cosa, Maria fece rilegittimare il matrimonio di sua madre
Caterina d’Aragona, con Enrico VIII.
Maria non aveva
pregi per farsi stimare e amare e non era avvenente; il suo viso come appare da
qualche suo ritratto, era cupo, freddo e austero e non ltasciava
trasparire alcun segno di quella bontà che le attribuisce padre Pollini, che parlava
di lei come fosse una santa, scrivendo di lei “L'ottimo e potentissimo Dio, dopo vent'anni dallo scisma concedeva mirabil vittoria alla serenissima e cattolica principessa
Maria contro tutti i principali baroni, cavalieri e principi di quel reame,
senza spargimento di sangue, volle con manifesto miracolo a tutto il mondo
scoprire quanto le fosse a cuore e quant'egli favoreggiasse la verità della
fede e religione cattolica”.
Maria aveva
trentotto anni che all’epoca era già età avanzata per prendere marito e far
figli; si erano fatti i nomi del conte Courtenay di Dewonshire, proveniente dalla stirpe reale, il quale però
aveva inclinazione per Elisabetta, di cui preferiva la giovinezza e il gradevole
conversare; da ciò derivò una freddezza di Maria per Dewonshire
e una velenosa animosità nei confronti di Elisabetta.
Nel cuore
maligno di Maria, scrive Hume, vi era l’antica ruggine delle madri e dopo che
il Parlamento aveva ratificato (su sua richiesta) le nozze della madre, non le
mancava il pretesto per considerare la sorella, illegittima; pizocheraa com’era (sotto le vesti portava il saio
francescano!), Hume la considerava, crudele, maligna, vendicativa, tiranna e
offendeva l’affezione che Elisabetta aveva per la religione riformata, che la
giovane principessa a stento celava e
quando lei l’aveva minacciata di conformarsi, Elisabetta aveva corso un grave
pericolo per la sua vita.
L’altro partito preso in considerazione per il suo matrimonio, era stato
quello del cardinale Reginald Polo, anch’egli. come abbiamo visto, di sangue
reale, il quale però era portato per una vita di studio (aveva scritto un testo
sulla ”Unione della Chiesa” in quattro volumi per
Enrico); a risolvere la situazione interveniva Carlo V al quale un altro regno
non sarebbe dispiaciuto, che proponeva il giovanissimo figlio Filippo II
(1527-1598).
Il loro matrimonio
si era svolto a Westminster e durante la cerimonia, in questo giorno che per
Maria era di trionfo, mentre il coro cantava il Te Deum, la sua esaltazione era giunta al
punto di sentire già nel suo grembo, il sussulto di un erede, che avrebbe
consolidato il suo trono e poter trattare la protestante Elisabetta, come
Enrico aveva trattato Anna Bolena; ma per fortuna di Elisabetta, il destino
aveva disposto in maniera diversa.
Le intenzioni
di Maria erano, infatti, di togliere di mezzo Elisabetta, ma era stato Filippo
II a salvarle la vita, non
per un senso di pietà, di cui Filippo era assolutamente privo,
ma per opportunità politica.
Disperando di
avere dei figli da Maria. Filippo si rendeva conto che tutti i cattolici ritenevano
che per diritto ereditario la corona d’Inghilterra spettasse a Maria Stuart,
regina di Scozia, nipote di Enrico VIII, in quanto figlia di Margherita, sua
sorella maggiore.
Fidanzata al
delfino di Francia, che sarebbe stato Francesco II, Filippo aveva intravisto la
riunione sulla stessa testa, di ben tre corone, quella di Francia, di Scozia e
d’Inghilterra; aveva quindi pensato di
unirsi a Elisabetta che, per questo motivo, fu condannata a una stretta
cattività; ma ciò le salvò la vita,
mentre assisteva alla esecuzione di personaggi, come Thomas Cranmer,
che aveva servito fedelmente il padre e si era rifiutato di abiurare e per
vendetta Maria lo aveva fatto condannare per eresia (che comportava il rogo)
anziché per tradimento (che
comportava il più umano taglio della testa!).
Dopo quattordici
mesi dal matrimonio Filippo esasperato di vedere che la regina non procreava
figli, se ne partì per le Fiandre (1555) nonostante i suoi pianti; egli neanche
rispondeva alle sue calde lettere, ma le scriveva soltanto per chiederle denaro
e lei si era spossata per accontentarlo e quando, nello stesso periodo Carlo V
aveva abdicato. lei
aveva perso ogni speranza di rivederlo.
Maria era
stata presa da malinconia ma si era ripresa quando Filippo volendo coinvolgerla
in una lega contro la Francia, tornava in Inghilterra e ottenuti diecimila
uomini, sotto il comando del conte Pembroke presero parte alla vittoria di
Saint-Quentin.
Dopo questa
vittoria, Filippo non aveva accolto il suggerimento di lasciare una guarnigione
spagnola a Calais, per custodirla, in quanto minacciata dai francesi. Il duca
di Guisa ne approfittò e riuscì a impadronirsi della città (1558), cara agli
inglesi, che la possedevano da duecentodieci anni; Maria non sopravvisse alla
presa di Calais; colpita da idropisia (*), prima di
morire ripeteva che se fosse stato aperto il suo cuore, si sarebbe trovato scolpito
il nome di Calais.
Dopo sedici
ore dalla morte della regina, moriva anche il cardinal Regilald
Polo a causa di febbri intermittenti, che indicavano la malaria che certamente
aveva preso a Roma, come tutti gli stranieri che si recavano in quella città,
come abbiamo detto in altri articoli. circondata di paludi, malattia che i
romani non prendevano in quanto naturalmente vaccinati.
IL RITORNO ALLA
FEDE CATTOLICA
RINFORZA IL
PRTOTESTANTESIMO
I |
l Parlamento
appena rinnovato con l’insediamento di Maria, aboliva con una sola legge tutti
gli atti posti in essere durante il regno di Edoardo, relativi al sacramento
che doveva essere somministrato sotto le due specie, all’elezione dei vescovi,
all’uniformità del culto pubblico, al matrimonio deI
preti, all’abolizione dei messali e delle immagini, all’osservanza delle
domeniche e dei giorni di festa, ordinando che il servizio divino sarebbe stato celebrato
come nell’ultimo anno del regno di Enrico VIII.
Nello stesso
tempo i vescovi protestanti, respinti dalla Camera dei Lords, erano privati
dalla sede episcopale; Ridley e Cranmer erano mandati
alla Torre, mentre
Gardiner, Bonnet, Tunstall Day e Heath erano ristabiliti nei loro vescovati
Il ritorno
del cardinal Polo (1554), come legato del papa, dava impulso a una nuova reazione: il Parlamento
ristabiliva gli antichi statuti contro l'eresia; fu ricostituito tutto ciò che
era stato fatto contro la sede apostolica romana dopo il ventesimo anno del
regno di Enrico VIII e furono restituiti al clero tutti i beni di cui erano
stati spogliati sotto questo regno.
Nello stesso
tempo l’Inghilterra divenne teatro di orrore che rese i cattolici oggetto di
esecrazione e dimostrò che non vi è scelleraggine superiore alla vendetta e
alla crudeltà coperte dal manto della religione.
Ebbero inizio
le terribili persecuzioni che insanguinarono il regno di Maria e che le valsero
l’epiteto di Bloody-Mary; esse iniziarono con l’esecuzione
del prebendato di San Paolo, John Rogers, padre di dieci fìgli,
primo nella lista delle vittime, arso vivo a Smothfield;
aveva chiesto di vedere la moglie, ma Gardiner, aggiungendo la crudeltà
all’insulto, gli disse che non poteva avere una moglie.
Si
verificarono anche scene strazianti: l’esecuzione del vescovo di Glocester, Hooper, fu eseguita a Glocester
con l’intento di incutere spavento nel suo gregge; quando era legato sul
patibolo gli avevano messo davanti uno sgabello con sopra la ritrattazione che
gli avrebbe salvato la vita, ma egli lo fece rimuovere; il forte vento impediva
alle fascine verdi di prendere fuoco, per cui gli si bruciarono le parti
inferiori del corpo; una delle sue mani si era staccata e con l’altra
continuava a battersi il petto e pregare fino a quando gli si gonfiò la lingua
e non poté più parlare.
Sanders fu
arso a Coventry e respinse l’ offerto perdono e sul
patibolo diceva “salve o croce di Cristo, eterna vita, salve”,
Così il
parroco di Hadley, Taylor, fu arso a Hadley e legato al patibolo recitava
un salmo in inglese, una delle guardie lo colpì sulla bocca e gli ordinò di parlare latino, un altro,
stizzito, lo colpì con l’alabarda sulla testa, uccidendolo e mettendo fine ai
suoi tormenti. Tutte queste uccisioni di protestanti, in tre anni di selvaggia
barbarie ebbero luogo solo perché essi non volevano riconoscere la presenza
reale del corpo e del sangue di Cristo (che era anch’essa una barbarie ed era
valsa da parte dell’Islam l’accusa di cannibalismo) nel sacramento!
Il vescovo Ferrar,
di Saint-David, aveva fatto appello al cardinal Polo, ma fu bruciato nella sua diocesi e Latimer e Ridley ambedue celebri per dottrina, furono
bruciati a Oxford.
Ridley. nato a Welmonsswick,
aveva studiato a Canbridge, Parigi e Lovanio e aveva
ottenuto il vescovato di Rochester e di Londra e i suoi celebri sermoni contro
Maria ed Elisabetta avevano dato il pretesto dell’arresto alla Torre e della
sua fine. Latimer aveva amici potenti a corte come
Cromwell e la stessa Anna Bolena, ai tempi di Enrico, che ascoltava con piacere
le sue invettive contro il papa e gli concesse il vescovato di Worchester (1535), che poi con lo stesso Enrico perdette e finì
alla Torre. Edoardo gli concesse la libertà; la sua eloquenza era vigorosa e
veemente, ma il suo linguaggio era caustico e grossolano accompagnato da gesti
abietti e grossolani.
Sosteneva che si dovessero togliere di mezzo le
due principesse Maria ed Elisabetta in quanto, sposando degli stranieri,
avrebbero messo in pericolo l’esistenza della Chiesa riformata; la stessa
imprudenza commise all’inizio del regno di Maria per cui fu arrestato per sedizione e finì sul
patibolo.
Le esecuzioni religiose (1555) furono settantuno, nell’anno
successivo ottantanove, e nel 1558, l’anno della morte di Maria, quaranta, in tutto
duecentotottantotto; un altro centinaio morirono
nelle prigioni; molti protestanti si salvarono espatriando rifugiandosi a
Francoforte, Strasburgo e Ginevra.
*)
L’idropisia determinava un consistente rigonfiamento del ventre che faceva
pensare alla maternità.
FINE